Il decreto “Salva Italia” in applicazione delle volontà dettate dalla Commissione Europea ha previsto la modifica, almeno in parte di alcune normative vigenti relative agli allevamenti di galline ed alla necessità di indicare sulle etichette dei prodotti tessili la presenza di componenti di origine animale. Si tratta certamente di un primo passo verso una maggiore tutela da parte dello Stato italiano sia dei diritti degli animali che dei consumatori, nella speranza che in futuro si possano registrare ulteriori miglioramenti in proposito.
A partire dal 1 gennaio di quest’anno, gli allevatori di galline dovranno attenersi alla direttiva europea secondo cui il numero di galline presenti nello spazio di un metro quadro non dovrà essere superiori ai 13 o 14 esemplari. Ad ogni gallina dovrà essere garantito uno spazio vitale di 750 centimetri quadri. A prima vista non sembrerebbe un grande progresso, ma bisogna considerare che, fino a questo momento, numerosi allevatori hanno tenuto confinate in spazi ristretti 20 galline ed oltre. Certamente, risulta in ogni caso impossibile riuscire a definire “libere” le galline destinate alla produzione di uova su scala industriale. Resta inoltre il dubbio che molti allevatori senza scrupoli continuino ad allevare galline in batteria scegliendo di non rispettare le nuove regole.
Nei mesi di novembre e dicembre erano sorti i primi dubbi sul rispetto del nuovo regolamento da parte degli allevatori e su di un presunto tentativo da parte del Governo di voler aggirare i nuovi regolamenti, tramite modifiche volte all’inasprimento dei dettami che l’Unione Europea aveva presentato ben 13 anni fa, nella direttiva n° 74/1999, i cui provvedimenti sono stati approvati a livello europeo soltanto lo scorso novembre. Ulteriori perplessità sorgono lecitamente riguardo ai due punti che maggiormente interessano i consumatori, relativi, cioè, a chi si occuperà di sanzionare coloro che non adegueranno i propri allevamenti alle direttive vigenti e a quali enti saranno incaricati di salvaguardare la qualità delle uova destinate alla vendita.
Le maggiori preoccupazioni riguardano l’eventualità che possano essere immesse sul mercato uova illegali, provenienti da sistemi di allevamento non più riconosciuti dalla legge e dunque privi di un codice di riconoscimento adeguato. Per quanto riguarda la necessità di sorvegliare gli allevamenti, tale compito verrà affidato a commissari inviati appositamente negli Stati membri, i quali si occuperanno di emettere le sanzioni previste nel caso venissero rilevate irregolarità.
Per quanto riguarda il settore tessile, il nuovo regolamento europeo (1007/2011) sulle etichettature degli abiti e dei prodotti tessili entrerà in vigore a partire dall’8 maggio 2012. Sarà obbligatorio indicare in etichetta la presenza nel prodotto di pelli di animali o di altre parti di origine animale. I prodotti fabbricati con l’utilizzo di derivati animali dovranno necessariamente riportare in etichetta la dicitura “Contiene parti non tessili di origine animale”. Tutti i capi d’abbigliamento ed i prodotti tessili che non ne conterranno saranno contraddistinti dalla dicitura “Fur Free”.
L’annuncio delle nuove normative in arrivo era giunto lo scorso novembre, direttamente dall’Unione Europea. Si tratta di un passo importante per la tutela di tutti quei consumatori che rifiutano di contribuire finanziariamente allo sfruttamento degli animali per la produzione di beni di consumo, scegliendo di non acquistare capi che contengano pelli, pelo, piume o altre parti di essi. La nostra speranza è che vengano istituiti in merito degli organismi di controllo che si occupino di verificare che le nuove diciture riportate in etichetta risultino veritiere, in modo da tutelare realmente i consumatori. Per una reale salvaguardia degli animali in tale ambito bisognerà probabilmente attendere ancora a lungo, ma per il momento godiamoci i primi frutti delle lotte portate avanti da decenni da coloro che hanno realmente a cuore la vita ed il destino di ogni essere vivente presente sul nostro Pianeta.
Fonte: greenme.it