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Tao, ti amo. Giallo sul cane ritrovato nel palermitano.

Palermo, la lettera di un bambino ritrovata insieme a un setter gettato nel cassonetto

«Ti amo», gli ha scritto prima di vederlo chiudere dentro il sacco della spazzatura. «Ti amo», gli ha forse ripetuto prima di vederlo scivolare nel cassonetto. Un saluto, l’ultimo. Un epitaffio, scritto con la grafia incerta di un bambino, letto sul biglietto che accompagnava il cane agonizzante ritrovato tra i rifiuti del quartiere Bonagia di Palermo in una mattina arroventata dal sole. Ma Tao, come i volontari hanno chiamato quello scheletro coperto di pulci, non voleva morire. Pelle e ossa, il muso come un teschio, la lingua fuori dai denti, la coda ridotta a uno spago arido, il corpo irrigidito in una curva innaturale, il pelo tormentato da piaghe e mosche cavalline, ha avuto la forza di emettere un lamento.

Il ritrovamento L’ha sentito un passante, l’ha segnalato a una pattuglia di vigili urbani impegnati con l’autovelox pochi metri più in là. Un agente è entrato nella clinica veterinaria di fronte, la «Palermovet». Lì dentro ci ha trovato, segno della Provvidenza canina, un gruppo di giovani della Lida, la Lega italiana dei diritti dell’animale. Dentro il cassonetto c’era un setter di quattro anni. Rantolava, ormai in agonia. «Ci siamo precipitati – racconta Marco Meli, uno dei volontari – l’ho tirato fuori dal sacco, l’ho liberato dal collare di nylon, gli ho avvicinato una ciotola d’acqua. E mi sono ritrovato tra le mani quel messaggio scritto su un tovagliolo di carta, di quelli leggeri da bar. Una scritta incerta, tracciata con una biro blu. Mia moglie fa la maestra, non ha avuto dubbi: è quella di un bambino». Un «ti amo» carico di dolore, di senso di colpa, di disperata rassegnazione.

Meli convince gli agenti a caricare il cane sul camioncino, quelli lo portano al presidio veterinario del canile municipale, i medici gli mettono una flebo di glucosio nella zampa, lo disinfettano. E lì succede l’incredibile. Perché quella carcassa comincia a dare segni di vita. Reagisce, muove una zampa, non si rassegna a morire.

Il giorno dopo viene trasferito in uno studio privato, sotto le cure del veterinario Ivano Santoro. Che gli fa una trasfusione di sangue, le analisi, i test neurologici, gli prenota una Tac. In quattro giorni la diagnosi passa da morte sicura a salvezza probabile.

Il cane viene chiamato Tao, «in omaggio al nome di un locale che ci dà una mano nell’accogliere i cuccioli – spiega Meli – ma anche alla “tau”, la lettera dell’alfabeto greco che è il segno della vita».

Si sparge la voce in città, l’agenzia Geapress diffonde la notizia, sulla pagina di Facebook della Lida arrivano messaggi dall’Australia e dalla Svezia. Qualcuno chiede online quale sia il problema con la salute dell’animale: pochi istanti e qualcuno risponde che «la malattia che ha quasi ucciso questo splendido cane si chiama “stupidità umana”». Arrivano anche offerte in denaro per sostenere le cure.

Tao diventa, suo malgrado, il testimonial contro l’abbandono degli animali d’estate, ma anche il protagonista di un mistero da risolvere. Chi ha scritto quel «ti amo» volato via nella concitazione dei soccorsi? «Ci piace credere – dice Alessandra Musso, responsabile della Lida che sia stato un bambino, forse ingannato da un adulto che aveva spacciato Tao per morto».

L’appello Tutti fanno appello a quel bambino. Nessuno si illude che possa rivelarsi e denunciare, perché oggi l’abbandono d’animale è un reato, ma sarebbe bello che riuscisse a sapere che il cane è vivo. «Che imparasse a sperare dice Meli – anche quando gli adulti disperano».

Il resto è deduzione. Probabilmente Tao è vissuto in una stalla della zona, magari una di quelle che ospitano i cavalli delle corse clandestine. Di sicuro è stato abbandonato, malnutrito al punto da non avere più muscolatura, forse anche picchiato. «Non vede bene e non annusa dal lato sinistro – spiegano i volontari – ma solo la Tac potrà chiarire se il problema deriva da un trauma, da un ictus, da una malattia neurologica». Poi si penserà all’adozione. «Ma dev’essere una famiglia speciale», dicono i volontari. Magari andrà a chiederlo un bambino che nel frattempo avrà imparato a scrivere e a ribellarsi.

Fonte: lastampa.it

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