Jonathan Safran Foer, da piccolo, trascorreva il sabato e la domenica con sua nonna. Quando arrivava, lei lo sollevava per aria stringendolo in un forte abbraccio, e lo stesso faceva quando andava via. Ma non era solo affetto, il suo: dietro c’era la preoccupazione costante di sapere che il nipote avesse mangiato a sufficienza. La preoccupazione di chi è quasi morto di fame durante la guerra, ma è stato capace di rifiutare della carne di maiale che l’avrebbe tenuto in vita, perché non era cibo kosher, perché “se niente importa, non c’è niente da salvare”. Il cibo per lei non è solo cibo, è “terrore, dignità, gratitudine, vendetta, gioia, umiliazione, religione, storia e, ovviamente, amore”. Una volta diventato padre, Foer ripensa a questo insegnamento e inizia a interrogarsi su cosa sia la carne, perché nutrire suo figlio non è come nutrire se stesso, è più importante. Questo libro è il frutto di un’indagine durata quasi tre anni che l’ha portato negli allevamenti intensivi, visitati anche nel cuore della notte, che l’ha spinto a raccontare le violenze sugli animali e i venefici trattamenti a base di farmaci che devono subire, a descrivere come vengono uccisi per diventare il nostro cibo quotidiano.
Potete essere vegetariani convinti o, al contrario, strenui sostenitori del consumo di carne: questo libro avrà comunque molto da dirvi. Non è infatti un manifesto del vegetarianesimo, ma un’indagine dettagliata e rigorosa sulla carne animale, la sua produzione e il suo consumo. Da dove viene la carne che finisce sui nostri piatti? Com’è prodotta? Come sono trattati gli animali e in che misura è importante? Quali effetti ha mangiare gli animali sul piano economico, sociale e ambientale? Jonathan Safran Foer, autore di culto diventato famoso con il suo romanzo d’esordio Ogni cosa è illuminata, parte da queste domande per compiere una riflessione appassionata su un tema che definisce a ragione «spinoso, frustrante e di grande risonanza», perché va a toccare tasti delicati come l’etica personale e dell’intera società, l’economia globale, le tradizioni più antiche, la nostra salute e quella dei nostri figli. Confermando la sua vocazione di narratore, il giovane scrittore americano sceglie di raccontarci tutto in un libro che è frutto di una grande quantità di ricerche e ha l’obiettività di un lavoro giornalistico, ma è anche una storia e come tale è stato concepito e realizzato. Una storia in cui trovano posto i ricordi dell’infanzia (dove la celeberrima madeleine proustiana cede il posto al pollo con le carote cucinato dalla nonna); campeggiano i dubbi e i sentimenti destati dalla recente paternità («Nutrire mio figlio non è come nutrire me stesso: è più importate»); si affollano le riflessioni sul rapporto tra uomini e animali (spassoso il racconto del colpo di fulmine per la bastardina George adottata dall’autore). A questi si alternano i resoconti delle incursioni notturne negli allevamenti intensivi di polli e nei macelli industriali, le indagini sull’inquinamento causato dallo smaltimento delle deiezioni suine e bovine, le inquietanti scoperte sulle massicce dosi di antibiotici e ormoni somministrati agli animali allevati in batteria e le nefaste conseguenze sulla salute dei consumatori. Il successo della carne prodotta industrialmente è garantito, secondo Foer, dal fatto che nessuno, eccetto gli addetti ai lavori, ha modo di vedere in quali condizioni siano realmente allevati i capi di bestiame. Se coloro che consumano abitualmente il frutto della moderna industria zootecnica potessero constatare con i propri occhi i modi di vita innaturali e disumani a cui sono costretti i loro futuri pasti, difficilmente continuerebbero a consumarli a cuor leggero. La produzione intensiva ha aumentato la disponibilità di cibo, per tutti e a bassi costi, ma siamo davvero certi che questo sia sufficiente a giustificare i maltrattamenti di milioni di polli, vacche e maiali e i rischi alla salute a cui sottoponiamo il nostro fisico? Chi sostiene questo sistema perverso, che fa sì che quasi un terzo delle terre emerse del pianeta sia destinato al bestiame, che la gabbia standard di una gallina ovaiola sia più piccola di un foglio A4, che l’allevamento degli animali sia la causa numero uno del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici, evidentemente ritiene che il fine giustifichi i mezzi. Davvero “niente importa”, pur di salvaguardare interessi economici e soddisfazione della gola? Non ci sono alternative possibili? In fondo le statistiche ci dicono che il consumo di carne nei paesi occidentali è sproporzionato rispetto ad altri tipi di alimenti (gli americani scelgono di mangiare meno dello 0,25% del cibo commestibile conosciuto del pianeta) e che anche il ben calibrato consumo di prodotti di origine vegetale fornisce una quantità di proteine sufficiente al nostro fabbisogno. Inoltre come non considerare le implicazioni etiche delle nostre scelte: «Per quanto oscuriamo o ignoriamo questo fatto – ci ricorda Foer, che insieme alla moglie ha sposato la causa vegetariana, – sappiamo che l’allevamento intensivo è inumano nel senso più profondo del termine. E sappiamo che la vita che creiamo per gli esseri viventi più in nostro potere ha un’importanza profonda. La nostra reazione all’allevamento intensivo è in definitiva un test su come reagiamo all’inerme, al più remoto, al senza voce.» Questo libro, che è insieme racconto, inchiesta e testimonianza, ci invita con determinazione e con passione a riflettere e a non accettare passivamente le regole del mercato. Non ci fornisce una soluzione, ma dati oggettivi e spunti su cui ragionare, per farci un’idea della situazione e affrontarla ciascuno secondo le proprie esigenze, i propri valori e le proprie convinzioni personali.