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“Animalista”: cosa significa?

Non è raro girare per internet e vedere siti che parlano di animalismo, di amore e rispetto degli animali, di diritto alla vita di ogni creatura. Spesso in questi siti si fanno proclami contro la caccia, la vivisezione e via dicendo e, senza dimenticare gli animali degli allevamenti, si dice che dovremmo garantire loro una vita più “umana” e rispettosa del fatto che sono anch’essi esseri viventi dotati di coscienza e sensibilità.

Accettando questi presupposti eticamente distorti e ingannevoli, chi poeticamente sostiene teorie del genere si sentirà un vero amante degli animali, e la sua morale non verrà minimamente toccata dall’aspetto che invece è il più terrificante, cioè il fatto che accettiamo come naturale, ovvio, necessario, l’uccisione di miliardi di esseri viventi nei mattatoi. Viene da chiedersi se tali siti non facciano più danno che altro, poichè trasmettono il messaggio che il bravo amante degli animali è colui che soccorre il gatto abbandonato, versa una quota del wwf, ma alla fine è indifferente alla vera carneficina che ha sotto gli occhi.
Si propone cioè una realtà falsa e ipocrita, che serve più che altro a far sentire in pace il sedicente animalista.

Com’è possibile un tale atteggiamento schizofrenico? La risposta è nel condizionamento cui siamo sottoposti fin dalla nascita, per cui alcuni animali vengono arbitrariamente considerati “da reddito”, e quindi nascono e vivono come numeri, pezzi di carne solo accidentalmente dotati di una parvenza (scomoda per noi) di coscienza e sensibilità. Basta un’etichetta e un essere senziente diventa una cosa, un insieme di tagli e bocconcini succulenti. Un timbro sulla schiena, e sei solo un pezzo di carne.

Anche se si riconosce loro il flatus vitale, si ammette anche che la loro è un tipo di vita in qualche modo inferiore, meno importante, che non può riguardare la nostra sfera morale, la nostra coscienza, rivolta invece agli amici cani, gatti, cavalli, o ai cervi della foresta e alle specie protette (è paradossale che difendiamo le specie che a causa nostra rischiano l’estinzione).

Ma il pianto delle mucche e dei maiali imprigionati, privati di ogni dignità, torturati a vita e infine sgozzati e squartati non viene udito. Il cervello filtra tutto questo perché ha dalla sua parte la forza del condizionamento che, attraverso schemi tassonomici infondati e assurdi, non ci fa vedere quanto dolore e sofferenza si nasconda dietro la nostra amata fettina di carne, il soffice prosciutto, o dietro il latte. Vizi di cui potremmo benissimo fare a meno.

Alcuni alleggeriscono ipocritamente la propria coscienza dichiarando con orgoglio che consumano carne solo raramente, come se si potesse morire ogni tanto!

La società ci rassicura: in fondo gli animali negli allevamenti sono nati per questo! E i prodotti finiti sono presentati in modo da non far pensare minimamente all’origine di quello che mangiamo. Anzi gli animali stessi sono mostrati nelle pubblicità felici e scorrazzanti nei prati, accanto a bambini che li amano.

Pensate se un essere umano appena nato venisse separato dalla madre (le mucche piangono per giorni quando il vitellino viene trascinato via), che non rivedrebbe mai più, rinchiuso in una gabbia, maltrattato e legato, ingrassato con brodaglie schifose e mantenuto malato, impossibilitato a muoversi o a vedere il sole, privato di ogni rapporto sociale e imbottito di antibiotici, ormoni, anabolizzanti. Cosa verrebbe fuori secondo voi? Se non morisse prima, sarebbe un mostro, non un essere umano come lo intendiamo noi.

Eppure, è questo che facciamo negli allevamenti nei confronti di miliardi di creature-vittime indifese. Le priviamo di ogni naturalità. Trasformiamo gli animali in automi, rendendoli il più possibile anonimi e quindi privi di qualsiasi diritto, anche del più fondamentale. Ucciderli e trattarli come “cose” diventa allora quasi naturale. Tutto questo in virtù di una nostra presunta superiorità. Ma è ovvio che nessuna classificazione umana può esprimere e giustificare una reale superiorità di un essere rispetto ad un altro, e che anche se tale superiorità esistesse, nessuno avrebbe diritto di uccidere nessuno

“Se non sai volare non puoi dirti superiore ad una mosca” disse un saggio sufi.

La cultura cambia da paese a paese. In Cina è normale cibarsi di cani e scimmie, da noi è normale cibarsi di mucche ma non mangeremmo mai un cane, i cavalli vengono usati per accostare i bambini alla natura per poi venire macellati e omogeneizzati, in India la mucca è sacra, in Amazzonia mangiano gli insetti…e via dicendo. Ma cosa è normale? Cosa è naturale? Niente di tutto questo. E’ tutto cultura. E’ una convenzione, un condizionamento cui veniamo abituati fin dalla nascita ma che può costarci veramente caro se non è accompagnato dal giusto senso critico.

L’altro giorno ho aperto il libro di compiti di geografia di mia figlia di 8 anni, e mi sono imbattuto in una pagina a dir poco inquietante. Il titolo è “Scopri le relazioni”. Si tratta di due colonne di tre figure ciascuna da abbinare con una riga. La colonna di sinistra riporta tre immagini: una mucca, un cesto di verdure e frutta e un maiale. Sulla colonna di destra sono riportati: dei vasetti di conserva, salami e prosciutto, latte e formaggio.

Davanti a queste immagini nessuno di noi avrebbe difficoltà a fare i collegamenti “corretti”: mucca=formaggi e latte, maiale=salame e prosciutto, verdure=conserve. Al bimbo che con naturalezza unisce queste due serie di figure non verrà certamente in mente, mangiando un panino col salame o bevendo il latte, che dietro tutto questo c’è sofferenza e morte. Ma ancora più interessante è il testo sotto il titolo, in cui si parla dell’importanza dell’ambiente pianeggiante per le attività agricole. “Da queste due attività” si dice “derivano molti prodotti industriali. Guarda le immagini e collega le risorse (animali, vegetali) dell’agricoltura e dell’allevamento ai prodotti dell’industria che da essa derivano.”

Gli animali, dunque, non sono altro che risorse, ovvero pezzi di carne semovente che hanno il solo scopo di approvvigionare i nostri surgelatori! E tutto questo è dato per scontato; il collegamento maiale=prosciutto permetterà al futuro uomo di rimanere indifferente davanti ai camion che trasportano bestiame, di non vedere i banchi insanguinati degli ipermercati e via dicendo. Il condizionamento, evidentemente, è già installato nei circuiti neuronali fin dalla più tenera età, e difficilmente potrà essere scardinato. Soprattutto se la verità viene accuratamente occultata a beneficio delle industrie della morte.

Il condizionamento (tradizione, abitudine, consuetudine) ci rende rigidi,ciechi, insensibili.

Come ogni condizionamento (in ambito religioso l’equivalente si chiama dogma), anche il nostro atteggiamento di fronte alla questione animale può essere contestato e cambiato. Così nostro dovere è far vedere la realtà terrificante che si nasconde dietro l’impersonale fetta di carne, dietro il saporito salame e via dicendo. Non c’è niente di naturale né di indispensabile in tutto questo

Forse l’uomo si è adattato forzatamente e per molti anni alla dieta carnea, ma adesso non ne ha più la necessità. Il suo corpo è progettato per cibarsi di frutta, semi, verdura.

Forse vi è stato un lungo periodo in cui era impossibile scegliere. Ma adesso noi, figli del ventesimo secolo, possiamo scegliere.<
Possiamo decidere la sorte di migliaia di esseri viventi solo cambiando abitudini alimentari e ritornando alla dieta più adatta al nostro organismo.

Possiamo scegliere una vita in armonia con la natura, che faccia stare meglio il nostro corpo, la nostra mente, le altre creature e l’intero pianeta.

Ognuno di noi, con le scelte di ogni giorno, può fare una grande differenza per il futuro nostro e delle generazioni che verranno.

A chi vi dicesse che la vostra è una scelta estrema, potrete solo rispondere che sì, in effetti qualcosa di estremo avete fatto, perchè avete deciso di stare estremamente meglio.

Articolo di David Ciolli – Redazione di Promiseland.it

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