Il delfino non teme l’uomo come un estraneo, va incontro alle navi, gioca saltando, gareggia anche, e supera le vele anche se molto gonfie. Un delfino, portato nel lago Lucrino durante il principato del divino Augusto, amò un giovane figlio di un povero, che da Baio si recava nella scuola di scrittura a Pozzuoli, che lo chiamò con il nome di Simone, e che si tratteneva nel mezzogiorno (per ore), dopo averlo attirato a sé abbastanza spesso con briciole di pane che gli portava. In qualsiasi ora del giorno chiamato dal ragazzo, sebbene nascosto e nelle profondità, correva dal fondo, e mangiato dalla mano porgeva il dorso (al ragazzo) affinchè salisse, nascondendo per così dire le punte della pinna in una fodera, e portava il ragazzo a Pozzuoli a scuola attraverso l’alto mare, e riportandolo per moltissimi anni nello stesso modo; fino a quando morto il giovane per una malattia, continuando comunque a venire nel luogo consueto, per la tristezza e per dolori simili, esso stesso – come nessuno potrebbe dubitare – morì di rimpianto.
Tradotto dall’originale:
Delphinus hominem non expavescit ut alienum, obviam navigiis venit, alludit exsultans, certat etiam, et quamvis plena praeterit vela. Divo Augusto principe, delphinus, Lucrinum lacum invectus, miro amore dilexit pauperis cuiusdam puerum, ex Baiano Puteolos in ludum litterarium itantem, cum meridiano (tempore) immorans, appellatum eum Simonis nomine, saepius fragmentis panis, quem ob id ferebat, allexisset. Quocumque diei tempore inclamatus a puero, quamvis occultus atque abditus, ex imo advolabat, pastusque e manu, praebebat ascensuro (puero) dorsum, pinnae aculeos velut vagina condens, puerumque Puteolos, per magnum aequor, in ludum ferebat, simili modo revehens plurimis annis; donec morbo extincto puero, subinde ad consuetum locum ventitans, tristis et maerenti similis, ipse quoque – quod nemo dubitaret – desiderio expiravit.
Plinio Il Vecchio, Naturalis Historia Liber IX