Materiale:
- Uno scatolone (o più di uno, se si vogliono costruire più rifugi)
- Sacchi grandi di nylon nero, resistente (quelli della spazzatura)
- Nastro adesivo
- Coperte o maglioni vecchi
- (eventualmente) polistirolo in pannelli
Materiale:
Ecco cosa puoi fare se nella tua zona ci sono dei gatti randagi:
MILANO – «Gli animali di Fukushima abbandonati e lasciati morire»: questo è il titolo di un reportage della Cnn che parla di una categoria trascurata dagli organi d’informazione nel parlare del disastro nucleare giapponese: gli animali. Ma qualcuno ha pensato a queste povere vite. E per amor loro ha deciso di rimanere a Tomioka. E di non abbandonarli al loro destino. Il piano di evacuazione ordinato dal governo giapponese parla chiaro: tutti coloro che abitano nel raggio di venti chilometri dai reattori della centrale danneggiata dall’accoppiata killer terremoto/tsunami dell’11 marzo scorso vanno immediatamente allontanati. Ma c’è un uomo di nome Naoto Matsumura, agricoltore da cinque generazioni, che decide di non stare alle regole.
Ecco la Romania che ama gli animali. E a qualcuno probabilmente sembrerà strano. Eppure, alcuni luoghi comuni bisognerà pur sfatarli prima o poi. La situazione di cani e gatti (ma anche cavalli e asini) in Romania non è sicuramente tra le più rosee, anzi è in molti casi davvero tragica. Per risolvere il problema alla radice, almeno nell intenzioni, Il governo romeno aveva recentemente approvato una legge che di fatto permetteva la soppressione dei cani randagi, lasciando totale discrezionalità ai singoli sindaci di decidere se applicarla o meno. Soppressioni che comunque, secondo quanto da tempo denuncia Save the Dogs, avverrebbero in molti casi a prescindere dalle leggi in vigore.
Rosa ha 65 anni, vive a Roma, in un quartiere di San Giovanni, dove il verde è minimo e le macchine e i palazzoni di cemento fanno da cornice alle sue passeggiate quotidiane. La conosco da anni e anni, all’inizio, mi incuriosiva la sua figura decisa che avanzava per la strada con fare quieto, cercava i gatti sotto le macchine, li chiamava, ci parlava e si fermava ad accarezzarli, poi dal sacchetto di plastica che teneva stretto in mano tirava fuori un piattino e ci metteva un po’ di cibo. E i gatti affezionati sembravano ringraziarla, attorniavano le sue gambe teneramente. Io ero stupefatta di tanto amore, all’epoca mi ero appena trasferita da una cittadina dove i gatti di strada erano considerati forti guerrieri che il cibo se lo procuravano da soli e di certo “le mamme gattare” non esistevano.
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